La ricerca ha scoperto che l’assunzione giornaliera di capsicina permette di ridurre l’attivazione di cellule stellate del fegato responsabili di alcune malattie, tra cui la fibrosi epatica, un serio disturbo che provoca come delle cicatrici nel tessuto epatico. Lo studio ha verificato l’effetto del peperoncino sui topi: la spezia è stata in grado di prevenire i danni della fibrosi epatica e in alcuni casi di bloccare l’evolversi della malattia stessa.
I topi su cui è stato condotto lo studio sono stati divisi in due gruppi. Il topi del primo gruppo hanno ricevuto la capsaicina mescolata al loro cibo abituale dopo essere stati sottoposti per tre giorni alla legatura del dotto biliare principale, condizione che comporta un accumulo di bile e aumenta il rischio di sviluppare la fibrosi epatica; i topolini del secondo gruppo hanno invece consumato la capsaicina nella loro dieta quotidiana prima e durante l’esposizione cronica al tetracloruro di carbonio, composto inorganico noto per essere tra i più potenti agenti epatotossici.
La capsaicina è un derivato del metabolismo di un acido grasso monoinsaturo, come la diidrocapsaicina lo è della versione satura. Possono essere considerati metaboliti secondari vegetali. Vengono prodotti da particolari “ghiandole” ubicate nel frutto tra la parete e la placenta (il tessuto che sorregge i semi). La placenta soprattutto quest’ultima è ricca di capsaicina, mentre i semi sono ne sono ricoperti solo esternamente e ne sono internamente privi. La caratteristica princiapale di capsaicina e capsaicinoidi è che sono alcaloidi incredibilmente stabili: restano inalterati per lungo tempo, anche dopo cottura e congelamento.
Ebbene, dallo studio è emerso che nei topi del primo gruppo la capsaicina è stata in grado di migliorare in parte i danni al fegato causati dalla legatura del dotto biliare principale e di inibire un’ulteriore progressione delle lesioni, mentre nei topi del secondo gruppo si è dimostrata capace di prevenire lo sviluppo della fibrosi epatica dovuto all’esposizione al tetracloruro di carbonio, anche se non è stata capace di ridurre i livelli di fibrosi una volta che la malattia si era già sviluppata.
Il peperoncino, però, non è l’unico alleato della salute del fegato. Simili proprietà protettive sembrano essere presenti anche in altri alimenti, come nel cardo mariano. Uno studio dell’università malese di Kuala Lumpur ha infatti dimostrato su 60 pazienti che la silimarina contenuta nella pianta è in grado di migliorare (dopo 48 settimane di trattamento) la severità della steatosi epatica, meglio nota con il nome di fegato grasso.